Le donne soffrono di stress lavoro correlato molto più degli uomini. Questo fatto potrebbe suonare strano, visto che alla donna, per antonomasia, si associa una vita più casalinga, con orari di lavoro diversi quando è anche mamma, e dunque meno soggetta ai ritmi massacranti dell’ufficio. Inoltre, grosso modo, la maggior parte delle volte le donne ricoprono ruoli diversi con minori responsabilità, e ciò significa che non hanno poi tutte queste rogne da portare a casa, a letto, la sera.

Ecco, questo è lo scenario ideologico che alberga nella mente dell’uomo medio. La certezza che il suo “braccio di ferro”, un po’ croce e un po’ delizia, rappresenti il passepartout e, allo stesso tempo, la via crucis della sua esistenza. Eppure i dati dicono ben altro. E se li leggiamo correttamente, andando a scavare dentro questi numeri, potremmo scoprire (l’acqua calda) che le donne sono più soggette allo stress perché spesso sono oggetto di pesanti discriminazioni che incidono sulla loro salute fisica e psicologica.

E io voluto scrivere un piccolo libro che esamina più da vicino lo stress lavoro correlato, mettendone in risalto le conseguenze, se lasciato agire senza fare nulla per contenerlo, e come gestirlo al meglio con delle tecniche di auto-ipnosi rilassanti e di svelamento del sé, con effetti davvero benefici su corpo e mente.

I dati sullo stress e le donne:

  1. Secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), le donne in tutto il mondo sono più esposte allo stress lavoro-correlato rispetto agli uomini, con il 58% delle donne che lavorano più di 48 ore a settimana.
  2. In Italia, l’Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ha rilevato che le donne risultano più esposte al rischio di stress lavoro-correlato: il 54,7% delle lavoratrici italiane soffre di stress lavoro-correlato, rispetto al 45,3% degli uomini.
  3. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le donne sono più inclini a sviluppare disturbi d’ansia e depressione legati allo stress lavoro-correlato rispetto agli uomini.

Il caso della ragazza servita come un ‘dolce’

Vorrei richiamare all’attenzione un caso accaduto in pieno agosto, in una località turistica sarda. Il caso della ragazza ricoperta di cioccolato e servita come un dolce tra i pasticcini su un tavolo a bordo piscina di un famoso hotel di Cagliari, esposta allo sguardo degli ospiti in festa per la ricorrenza del 15 agosto.

La notizia su Facebook ha suscitato un certo scalpore, sollevando reazioni scandalizzate niente affatto per afflato puritano, perché non siamo certo nel Medioevo, quanto piuttosto per il solito cliché di un modello culturale che ha davvero stancato e che sta toccando un pericoloso livello di saturazione: la donna ridotta ora a carne da macello ora da assaggio, ora a “oggetto femminile” di lussuria. 

Ora, diciamo pure che nessuno è andato dalla ragazza costringendola ad esibire il suo corpo, ma pur ammettendone l’assoluta volontarietà, è davvero questa la rappresentazione del corpo femminile che si vuol dare in un contesto di ospitalità internazionale?! 

Come è possibile solo metter su una campagna di visual marketing che sfrutta l’immagine femminile in quel modo così basso e indegno per creare un’atmosfera festosa, conviviale… forse si voleva offrire un’esperienza immersiva?

Questo esempio è solo una delle tante espressioni della condizione che vive la donna nel suo ruolo sociale. 

Lo stress da lavoro correlato come fenomeno che colpisce più le donne 

È piuttosto evidente che in ogni ambito, il ruolo assegnato alla donna sin dalla nascita – “bella e zitta” –  sia soggetto al marchio di un certo predominante modello culturale. Un modello culturale che ormai fa parte di noi e che fatica persino a riconoscersi come tale. A riconoscere sé stesso, volendolo “normato” a tutti i costi, volendolo naturalizzare anche contro natura, perché così si è sempre pensato e agito. E perché metterlo in discussione, in fin dei conti è solo un capriccio femminile, qualcosa da lamentare, un rigurgito di aspirazione mascolina (o addirittura atavica invidia fallocentrica) introiettata. 

E non c’è alcuna presa di posizione di estremismo femminista in quello che asserisco, ma solo una lucida visione dei fatti sullo sfondo di un nauseabondo trend culturale che sta sfuggendo di mano. 

In quasi tutti gli ambiti, la donna continua a essere oggettivizzata e infilata dentro categorie di pensiero associate alla sua inferiorità di genere. E questo crea molti fattori di stress, in famiglia, sul posto di lavoro, nelle relazioni sociali, persino in macchina.

La cosa peggiore è che in tutto questo la responsabilità sociale viene lasciata al libero arbitrio. Di fronte a certi casi di visibile e ostinato retaggio culturale, anche l’uomo più progressista fa spallucce prendendo le distanze da certa mentalità retrograda, quando invece la mentalità è più che attuale e viva anche nella battuta canzonatoria a scapito della donna: “Eh ma io scherzo! Si fa per ridere!”. Quante volte sentiamo queste giustificazioni dopo una battuta su “Oh, quanto sei acida Laura, ma che hai le cose tue oggi!”. Come se poi l’acidità avesse un genere! Altrettanto succede con il pettegolezzo o con l’invidia, che sembrano solo difetti del genere femminile.  

La dura vita da donne e lo stress lavoro correlato 

L’ho affrontato anche nel mio eBook su come gestire lo stress per evitarne le conseguenze questo tema, ma voglio tornarci su perché è importante comprendere come il lavoro della donna sia duplice, anche in questo senso purtroppo dato per scontato come fosse solo fonte di gioia e dovere di una madre dedita. 

Ma diciamo la verità: la donna è molto più esposta allo stress lavoro correlato perché il suo lavoro non si limita a quello in azienda, in ufficio, in fabbrica o dove sia, ma si estende anche alla cura dei figli e della casa. E questo si sapeva.

Ciò che non emerge mai forse abbastanza è che questo secondo lavoro è dato per scontato, fa parte del “pacchetto-donna-prendi-e-porta-a-casa”, oltre a non essere neanche troppo apprezzato o riconosciuto. Questa condizione alla lunga genera un inevitabile burn out.

Il “lavoro invisibile” che spetta alla donna e madre per dovere di nascita si basa anche sullo spazio mentale necessario per organizzare tutta la vita dei figli: alimentare, igienica, scolastica, medica, sportiva, sociale. La mamma è addetta a tutto, e se non fa tutto ciò che ci si aspetta da lei, non è una brava mamma. E con questo velo di MAYA sugli occhi crescono anche i suoi figli che assorbono l’olezzo culturale che si respira in casa.

Con queste premesse, è logico che le donne corrano maggior rischio di soffrire di ansia, depressione, stanchezza, mancanza di energie, ecc. Con la penalizzazione di essere anche tacciate di perdere interesse per l’intimità con il loro partenr, con tutto ciò che ne potrebbe derivare. 

A questo proposito, vorrei citare questa scrittrice Eve Rodsky che nel suo libro “Fair Play” propone piani d’azione per creare una maggiore uguaglianza tra donna-uomo a casa. E sicuramente, un buon punto di partenza per correggere alcuni atteggiamenti è proprio partire dal guardare la propria compagna, moglie, madre, sorella, ecc., da tutt’altra angolazione. Renderla più simile a sé, e non relegarla al ruolo minoritario.

Come i datori di lavoro possono sostenere le donne che lavorano

Spesso sul posto di lavoro le donne diventano oggetto di pregiudizio e ingiustizie ormai perpetrate per consuetudine. È importante cambiare mentalità in questo ambito, sarebbe un ottimo esempio anche per le prossime generazioni, mostrare di sostenere attivamente le pari opportunità.

La donna che diventa mamma, per esempio, fatica a recuperare lo status o lo stipendio precedente. Il datore di lavoro potrebbe sostenere il suo rientro adottando un approccio più flessibile e non “punitivo”, che possa contemplare anche soluzioni e aggiustamenti concilianti. Che poi ci lamentiamo che non si fanno figli!

Ma non solo. La donna che finisce la sua giornata lavorativa e scappa a casa dai figli ancora piccoli, viene spesso considerata meno adatta a ricoprire ruoli di responsabilità anche se più abile e capace e con più competenze di un uomo, che invece può garantire presenza anche oltre l’orario d’ufficio. 

Questo non è giusto: la valutazione andrebbe fatta osservando prestazioni e risultati, non lasciandosi impressionare dalla dedizione di chi si trattiene più ore dopo l’orario di fine giornata.

Per concludere, dunque, ritengo che lo stress lavoro correlato per la donna sia uno dei tanti volti deformati da una subcultura che sta diventando un affare molto serio, da affrontare a livello collettivo con un lavoro di riconoscimento e presa di coscienza. Spesso, purtroppo, non c’è alcun disagio da curare, ma solo tante vittime del patriarcato da salvare.

Foto di David Bruyland da Pixabay