Oggi voglio parlare del perché è importante fare coming out, del motivo per cui spesso questo passaggio risulta difficile e doloroso, delle ragioni per cui la società fatica ancora ad accettare, e come è possibile superare questo “ostacolo” del venir fuori per ciò che si è, senza temere il giudizio altrui.

Porterò anche l’esempio di un paese dove l’omosessualità non è motivo di dibattito né di profonde riflessioni, semplicemente È. 

Coming out, il passo verso la liberazione del sé

Il coming out, ovvero la dichiarazione pubblica della propria identità sessuale o di genere, è un passo significativo che rappresenta la conquista della liberazione e della pace interiore. 

Nascondere la propria vera identità, a lungo andare, può creare frustrazione, rabbia e un conflitto interiore che è difficile poi da risolvere più avanti nel tempo. 

Fare coming out, invece, può aiutare a sentirsi più integri e risolti, in pace con se stessi e con le persone intorno. Può aiutare ad aprirsi di più, a costruire relazioni più genuine e autentiche con gli altri, perché non ci si deve più nascondere. 

La sensazione di gioia quando parli con qualcuno che sa di te, è impagabile. L’ho letta negli occhi dei pazienti che ho accompagnato verso questa liberazione e l’ho ascoltata nei ringraziamenti dei genitori che hanno potuto scoprire il lato più autentico dei loro figli.

Infatti, fare coming out è importante anche per ricevere supporto nel proprio ambiente, soprattutto se ci si trova ad affrontare discriminazione o pregiudizi.

E poi, non dimentichiamo l’importanza di dare l’esempio. Se restiamo tutti silenziosi e nascosti, niente mai potrà cambiare la mentalità dei più ritrosi. 

Quando le persone fanno coming out e vivono apertamente la propria identità sessuale o di genere, possono diventare modelli e rappresentare la comunità LGBTQ+. 

Perché è difficile fare coming out?

Sono diversi i motivi per cui può essere difficile e doloroso fare coming out. Ne ho raccolti alcuni tra i più diffusi. 

Il tempo dell’accettazione di sé

Molte persone LGBTQ+ sentono il bisogno di darsi del tempo per comprendere la propria identità sessuale o di genere. Farsi avanti e fare coming out potrebbe sembrare prematuro o addirittura impossibile. 

Sebbene sia comprensibile la necessità di concedersi del tempo per capire e capirsi, se vivessimo in una società in cui è normale avere caratteristiche di genere o interessi sessuali diversi dal mainstream, probabilmente non saremmo portati a farci domande, e non avremmo bisogno di passare attraverso l’autoesame, il sentirci prima “sbagliati” e poi accettati. 

Non sono questi i passaggi forzosi che creano le condizioni per cui la persona debba interrogarsi e farsi mille domande, prima di sentirsi integra e risolta?

Probabilmente, il più delle volte non c’è proprio nulla da chiedersi. Piuttosto si tratta di accettare la propria natura, ma sempre perché il contesto sociale implica questo passaggio dell’accettazione. Ecco che talvolta il problema può sfociare in conflitti interiori pesanti da gestire.

Paura del giudizio 

L’omofobia e la discriminazione ancora presenti in molte società e culture possono rendere difficile per le persone LGBTQ+ rivelare la propria identità sessuale o di genere. 

Vince la paura di essere giudicat*, emarginat* o addirittura perseguitat*.

NB: L’asterisco sta a rappresentare la desinenza neutra rivolta sia al femminile sia al maschile (per un linguaggio più inclusivo). 

Paura delle conseguenze nell’ambiente scolastico e professionale

il coming out può provocare ansia e stress per paura delle conseguenze che ne possono derivare nell’ambiente familiare, scolastico e professionale. La persona LGBTQ+ può temere di perdere il sostegno di amici, familiari o colleghi, o anche di subire ritorsioni sul lavoro o prese in giro a scuola.

È molto importante che in questi casi il corpo docente interagisca con gli alunni delle età più delicate, quelle adolescenziali, educandoli alla consapevolezza che esistono persone con gusti diversi e che non c’è nulla da giudicare o di cui vergognarsi. 

In classe potrebbero esserci ragazze o ragazzi LGBTQ+ oppure figlie o figli di famiglie Arcobaleno. Queste persone devono essere rassicurate e anche tutelate. 

Purtroppo, nelle classi delle superiori spesso esiste il gioco dello scambio di battute offensive: “frocio, checca, finocchio” volano come fossero baci al soffio. Ebbene, queste parole sono la prova provata che ancora oggi si scherza con epiteti rappresentativi di un certo pensiero che continua a lavorare nel sottobosco. 

Il nostro cervello è pigro, questo ormai lo sappiamo, e fa del tutto per lavorare il meno possibile, ma alcuni bias cognitivi possono diventare davvero molto pericolosi. Ecco perché vanno stanati e modificati, soprattutto negli ambienti scolastici dove ancora possiamo cambiare le mentalità.

Non so come dirlo

Fare coming out può rappresentare un impegno emotivo che costa molto perché richiede di svelare una parte molto intima e personale di sé. In genere, parlare di sé non è mai troppo semplice, o perlomeno non lo è per tutti.

Potrebbe essere difficile trovare il momento, l’umore giusto e le parole per spiegare la propria identità sessuale o di genere alle altre persone, specialmente se si teme di essere giudicati o rifiutati.

Come riuscire a fare coming out

Tutte queste ragioni che ho descritto possono rendere il coming out un processo difficile e doloroso. Tuttavia, ci sono dei modi che possono aiutare ad affrontare questo processo:

  1. Informarsi, leggere, confrontarsi su argomenti come la sessualità e l’orientamento sessuale, può aiutare a comprendere meglio la propria identità e a sentirsi meno isolati. In generale, funziona così un po’ in tutto: scoprire che alcuni aspetti di sé sono condivisi e considerati assolutamente normali, crea tutt’altro quadro.
  1. Condividere con altre persone, parlare con amici fidati, familiari o persone LGBTQ+ può essere un passo importante per accettarsi e sentire il sostegno degli altri.
    Ricordo il caso di un ragazzo che aiutai a fare un percorso di accettazione. La sua situazione si è sbloccata in modo inaspettato subito dopo aver detto di sé in casa e agli amici più cari. Vedendo la loro reazione, si è sentito più forte ma anche più indifferente nei confronti dei possibili giudizi altrui.
  1. Trovare esempi positivi: cercare modelli positivi di persone omosessuali nella cultura popolare, nella vita quotidiana o nella storia può aiutare a sentirsi meno soli. È un po’ la storia dell’influencer… e funziona. Quando viene fuori che il calciatore super-quotato è omosessuale, un certo effetto lo fa.

Perché ancora si combatte contro i pregiudizi?

Passi avanti sono stati fatti ma ancora molti ne dobbiamo fare. Tra le ragioni per cui la società potrebbe non accettare le persone LGBTQ+, la non conoscenza o la mancanza di comprensione. Non tutti hanno familiarità con la sessualità e l’identità di genere. Ciò può portare a pregiudizi e stereotipi negativi.

Ancora esiste l’omofobia, una paura o un odio irrazionale che può manifestarsi in discriminazione, violenza e pregiudizio.

Alcune religioni considerano l’omosessualità un peccato o una deviazione morale, il che può portare a una mancanza di accettazione nella società.

Le norme sociali possono diventare molto limitanti. L’esempio della scuola e dell’ufficio è indicativo. In questi ambienti le persone omosessuali potrebbero essere stigmatizzate o emarginate se non si conformano a queste norme.

Infine, in alcune nazioni vigono politiche governative che possono non garantire la protezione dei diritti delle persone LGBTQ+, o che potrebbero discriminarle in vari ambiti, dal lavoro alla vita privata.

In conclusione, ma perché abbiamo bisogno di fare coming out?

Insomma, fare coming è molto importante, certo, perché libera la persona dalla prigionia del silenzio e dell’angoscia del pozzo nero in cui vivere nascosti. 

Ma, diciamolo pure, che il coming out è un fenomeno che esiste solo dove essere omosessuale è una condizione di vita da precisare, da spiegare. Ecco perché in tanti non riescono ad affrontare questo passo a cuor leggero, ci si fa prendere dalla paura, dalla vergogna, dal senso di colpa. 

Aggiungerei, tuttavia, che non dovrebbe neanche esistere il bisogno di fare coming out, a essere onesti. Se fosse naturale, avremmo bisogno per caso di dire con chi amoreggiamo o con chi vogliamo condividere la nostra vita privata? O semplicemente da chi ci sentiamo attratti? 

Non credo proprio che la figlia o il figlio 30enne, a un certo punto della sua vita avverta il bisogno, o il desiderio maturato dopo un conflitto interiore, di rivelare ai genitori il suo essere eterosessuale e di amare Luca o Lucia. 

E così dovrebbe funzionare anche per le persone con altri orientamenti sessuali. Non ci dovrebbe essere il bisogno di dire “mamma, papà, sono omosessuale”. È vero, il coming out è un passaggio importante, come dichiarazione del proprio sé, ma lo diventa nel contesto in cui viviamo.

A Copenaghen, nella capitale danese, tanto per dirne una, non frega niente a nessuno di fare coming out.

Sapevi che la Danimarca è una delle nazioni in cui si vive meglio e tra le più felici al mondo? È al secondo posto, secondo uno studio del World Happiness Report. Ma basta fare un giro anche di pochi giorni per accorgersi che l’aria, oltre che fredda, è anche un poco più respirabile. 

Statistiche a parte, tra tanti elementi che spiccano nella cultura di questa città c’è anche la sua rilassante e conciliante “indifferenza” verso la “questione omosessuale”

Nessuno deve spiegare nulla a qualcuno. Avere preferenze di altro tipo rispetto alle tendenze mainstream non fa notizia e non è argomento di conversazione o dì dibattito. Hanno a cuore la salute delle persone che non hanno un tetto sulla testa, quella dei dipendenti da sostanze stupefacenti che tutelano creando intorno a loro un ambiente protetto. Ma nessuno si preoccupa di conversare sui gusti sessuali del vicino. 

Parlare di coming out, dunque, sembra qualcosa di inutile, o ridondante. “So what!?” = E allora?! 

Non si fa querelle, non si fa spallucce. Non se ne parla col piglio filosofico né con il tono del dramma psicologico. L’omosessualità non passa al vaglio di nessun tipo di frustrante bias cognitivo!

Sembra incredibile, ma quanto può cambiare la vita da una cultura all’altra! Quanto è potente l’ambiente in cui viviamo nel condizionare le nostre scelte, le nostre sensazioni, i nostri sensi di colpa, le nostre vergogne.

Nel corso della storia, tanti paesi hanno conosciuto vischiosi momenti di buio culturale, ma poi in alcuni di questi si è anche accesa la luce del progresso e dell’evoluzione. 

Quello che un tempo era il reato di omosessualità, in Danimarca è stato abolito nel 1933. Qui, nel 1951 è stato fatto il primo intervento chirurgico per il cambio di sesso, mentre nel 1989 si è celebrato il primo matrimonio omosessuale. Infine, dal 2012, le coppie gay possono sposarsi anche in chiesa.